Quando le Venezie divennero un Stato democratico
“Ma già Roma declinava, e non che minacciare la libertà altrui, si trovava costretta a difendere la barriera delle Alpi, non più insormontabile dai Barbari. Attila, re degli Unni, avventatosi sull’Italia, le venete contrade devastò;assediata Aquileja la distrusse in modo che più non risorse; mandò a pari strazio Altino, Concordia, Patavio, sicchè quel lato rimase aperto a chiunque venisse, e le Venezie furono disgiunte dall’Impero.
I natii che non perirono di ferro, cercarono ricovero fra l’arcipelago di isole disseminate nella laguna dove i cavalli degli Unni non pervenivano, principalmente in quelle al nord-est in fondo al golfo Adriatico; come nella laguna di Grado fra gli sbocchi dell’Isonzo e del Tagliamento, e in quelle di Caorle fra il Tagliamento e la Livenza si ritirarono i fuggiaschi d’Aquileja, Concordia, Oderzo; a Murano, Torcello, Mazzorbo, Burano i litorani di Este, Treviso, Altino; a Chioggia, Pelestrina, Albiola altri di Padova, di Este, di Monselice; quei di Feltre e Belluno con altri popolarono Eraclea, detta poi Cittanuova, verso la foce del Piave; quei di Oderzo rialzarono Equilio o Jesulo, sul lido di Cavallino tra Piave e Livenza; i Padovani occuparono il lido di Malamocco e gli isolotti che formavansi attorno al fiume Prealto, ramo della Brenta, il quale traverso alle lagune andava a sboccare pel porto di Lido in mare , finchè gl’ interrimenti ne sviarono il corso; traccia del quale è ancora quel che oggi diciamo Canal Grande.
La fondazione di Venezia si fissa vulgarmente al 25 marzo dell’anno 421. Ma che quelle isole in prima giacessero disabitate nol ci lasciano credere i ruderi che se ne traggono; e cimiteri, monete, cippi, sarcofaghi, epigrafi d’indubitata antichità pagana, dan testimonio di coltura e di abitanti (nota 1), cresciuti pero assai al tempo di queste fughe. Passato il nembo, alcuni tornarono al sempre caro suolo natio; altri, prevedendo guai, o già acconciatisi nelle nuove abitazioni, vi si mantennero, esercitando le arti che sole il luogo rende possibili; commercio, pesca, raccogliere sale, trasportare quanto scendea dai fiumi d’Italia o dovea rimontarli, supplendo così alle campagne su cui più non crescea fil d’erba dacche il cavallo d’Attila le avea calpeste. Il diverso accento delle varie isole, che l’orecchio esercitato avverte fino ad oggi, indicherebbe la varietà de’popolatori di esse.
Sfasciatosi l’impero romano in Occidente, i Veneti prestavano omaggio agli imperatori di Costantinopoli; omaggio mal determinato, ma dal quale traevano profitto per aver libertà di traffici in Levante, e per tutelarsi contro i vicini dominatori.
Ogni isola istituiva un magistrato che rendesse giustizia ed amministrasse il Comune; poi per gl’interessi di tutti, e per nominare magistrati comuni, cioè un governo, molte isole insieme si adunavano in concione. Il governo sedette dapprima ad Eraclea, poi a Malamocco, isola del mare che le procelle sciroccali distrussero; e reggeva tutte le isole e il lembo di terraferma da Grado a Capodargine (Cavarzere). Dappoi fu rinserrato; e invece dei tribunali di ciascuna isola si elesse un tribuno solo, poi 10, poi 12, poi 7; alfine e nobili e clero si presero un capo, che di tutti gli altri frenasse l’ambizione e la prepotenza. Paoluccio Anafesto d’Eraclea diveniva cosi primo doge (697), non per tirannica usurpazione come i signorotti di terraferma, sibbene per desiderio di libertà men tumultuosa. Era primo magistrato a vita, non però dispotico, continuandosi l’ arengo e il voto universale; innestandosi l’avanzo delle forme antiche e l’omaggio imperiale, col sistema unitario de governi militari e colla futura libertà dei Comuni italiani.
Ed ecco nuovi invasori dalle Alpi noriche, e crescer quindi il numero di coloro, che quella bufera soffiava nelle isole; e più il dominio longobardo riusciva esoso agli Italiani, più gente ricoveravasi nelle lagune. Que’primi, che si erano già dato un modo di governo , ai nuovi venuti non voleano partecipare tutti i diritti della loro cittadinanza: per modo che fin dall’origine si costituiva una nobiltà di convicini, distinti dai clienti, non derivata da guerre o conquiste, ma dall’essere stati primi ad occupare il suolo che divenne patria.
La invasione longobarda spingeva il patriarca d’Aquileja dalla distrutta sua città a Grado; e sotto la propria giurisdizione teneva la chiesa dei Santi Sergio e Bacco ad Olivolo, che or chiamano Quintavalle a Castello. Cresciute le isole, fu eletto vescovo di Rialto Obclerio tribuno di Malamocco, che piantossi ad Olivolo, e da qui presero titolo i vescovi veneti sino al 1091, quando Enrico Contarin si chiamò vescovo Castellano, . avendo per metropolitana San Pietro di Castello. Nicolò V vi uni poi il patriarcato di Grado, e il primo patriarca di Venezia fu san Lorenzo Giustiniani; é a Castello stette la sede patriarcale fin al 1800, quando fu trasferita per abbellirne le moschee; e ottennero di asportare le reliquie nascondendole tra carne di majali, acciocchè i gabellieri musulmani non le rovistassero; e traverso a gravi procelle recaronle in patria, dove arrivati il 21 gennajo 829, fra tripudj e feste e canti, deposero nella cappella ducale questo santo, che divenne il patrono e il simbolo della repubblica veneta.
nota 1: A tacer altri, David Weber trovò alla Giudecca urne cinerarie, un metro e mezzo sotterra, e presso Torcello le reliquie d’un tempio lungo 19, largo 12 metri, mutato poi in chiesa cristiana, come fu la grande basilica di Jesolo. Durante l’assedio del 49, a Sant’Angelo della Polvere si scavò da metri due sotterra un cippo dedicato a C. Tiburnio Liberlo.”
Pagine 10-13 di “Grande illustrazione del Lombardo-Veneto, ossia Storia delle citta, dei borghi, comuni, castelli, ecc. fino ai tempi moderni per cura di letterati italiani”