Dal tradizionale grano dei veneti una soluzione per ridurre la fame
I veneti sono fra i popoli originari d’Europa, forse l’unico, e precedono di molti secoli (o millenni) i celti, i franchi, i germani, gli slavi ecc.
Già a partire dal 1500 Avanti Cristo, arrivati attraverso fiumi e il mare in diverse ondate, essi erano attestati in tutta Europa , e ovunque avevano dato i nomi ai luoghi per lo più prima disabitati, ancora oggi rintracciabili ed ad essi ascrivibili.
I veneti portavano con sé tecnologie avanzate come la lavorazione del ferro e della ceramica, la coltivazione della vite, l’allevamento anche del cavallo, ma sopratutto un sistema di organizzazione sociale e militare che permetteva la coltivazione della terra, la pace, l’elevazione dello spirito alla Dea Madre.
Essi avevano specifiche tecniche anche per la pesca e nelle zone di mare a basso fondale hanno sviluppato la tecnica delle saline tuttora in uso in molti luoghi, che oltre a rifornire il sale essenziale per la vita, permettevano un ciclo produttivo quasi autosufficiente che recuperava terra per le produzioni agricoli, spazi per quelle ittiche, favorendo uno speciale microclima. Insomma un ciclo chiuso di molto più sincretico di quanto riescano a fare i nostri economisti ed agronomi odierni.
Sono nati così ampie parti di campi coltivabili rubate al mare, non a caso buona parte della pianura padana è sotto il livello del mare, difesa da immense opere di regolamentazione che solo secoli dopo gli olandesi hanno imitato e che non capite sono state lasciate abbandonate dal governo italiano producendo disastrose e periodiche inondazioni.
Questi terreni rubati al mare venivano in seguito concimati, e seminati, prima con una serie di colture di bonifica, come il canneto, e poi con produzioni alimentari, ma ci voleva molto tempo prima che questi terreni difficili perdessero l’alta salinità.
Ecco allora che nei secoli si selezionarono per la coltivazione quelle varietà di grano che risultavano più resistenti ai terreni salini.
Da tempo immemore nella pianura veneta si coltivava infatti la varietà “monococco” (http://it.wikipedia.org/wiki/Triticum_monococcum), che univa una serie di fattori adattati al territorio, e non veniva usata nei ben differenti terreni del sud italia.
Nel 1976, con un bombardamento radioattivo in laboratorio della varietà Cappelli, si è creata la varietà OGM “creso”, e per la apparente maggior resa ha conquistato la produzione insieme a suoi derivati come il Colosseo e l’Arcangelo. Scagionato dalla accusa di produrre più glutine, il Creso resta l’imputato maggiore dell’esplosione delle celiachie.
Quello che è certo è che la popolazione italiana si alimenta di OGM che per legge sono vietati !
Dall’Australia arriva una rivincita metodologica, etica e genetica del grano “monococco” caro ai veneti e della metodologia della mutazione radioattiva.
Alcuni ricercatori dell’Istituto Waite dell’Università di Adelaide (Australia), utilizzando le tecniche tradizionali di incrocio e selezione di alcune varietà tradizionali (insomma usando alla vecchia maniera), sono riusciti a trasferire l’adattamento ai terreni salini del grano monococco alla varietà Tamaroi. Il monococco ha infatti un gene ( TmHKT1 5-A ) che nei vasi che portano l’acqua e i minerali dalle radici alle foglie rimuove il sodio dalle cellule , portando a piante con meno sodio nella foglia.
Il monococco incrociato con il tamaroi ha per altro dato una reso maggiore del 25% rispetto alla varietà originale in terreni ad alta presenza di sodio.
Non si tratta di una varietà transgenica o OGM ma ottenuta con la tecnica tradizionale di incrocio e selezione, per cui non soffrirà delle limitazioni legali date agli OGM.
L’Australia ne trarrà grandi vantaggi perché pur essendo il secondo esportatore di grano al mondo dopo gli USA, i cambiamenti climatici ne stanno mettendo a rischio la produzione, la salinità dei terreni è un problema per ill 20% dell’agricoltura mondiale.
Insomma un pezzetto di monococco veneto aiutera’ a risolvere una parte dei problemi della fame nel mondo.
La deprimente “decrescita felice” può andarsene in soffitta e lasciare il posto ad una umanità che continua a migliorarsi, anche imparando a correggere i propri errori, il che implica il ritornare sui propri passi, e dal passato riprendere le cose che meglio funzionavano.
La ricerca sulla nuova varietà è stata pubblicata sulla rivista
. Nature Biotechnology http://www.nature.com/nbt/journal/v30/n4/abs/nbt.2120.html
ha ottenuto una varietà di grano duro non-OGM che resiste alla salinità del terreno e ha una resa produttiva maggiore del 25%
La notizia dello sviluppo è del 27 aprile 2012, ma si definisce il “Triticum monococcum” un’antica parentale selvatica del grano duro (!) che dona alla piana una migliore tolleranza a livelli elevati di sodio nel suolo.
Lo studio è stato pubblicato su Nature Biotechnology.
Sul grano creso vedi qui
Sulle mutazioni genetiche vedi qui
Sui nomi originari dei luoghi Veneti vedi qui