Quanto pagano le personalità autodistruttive!
In questi tempi di crisi tutti noi ci troviamo a confronto con situazioni nuove ed impreviste. A volte scopriamo con meraviglia e stupore modalità nuove e intelligenti di affrontare le sfide, cose che possiamo definire “belle”. E’ fondamentale osservarle, capirle, se possibile abbeverarsi alla conoscenza dei loro artefici, insomma imparare dal “bello”.
Purtroppo molto più spesso nelle crisi si viene a contatto con cose brutte, persone squallide, meschinità varie.
A volte verifichiamo ancora una volta che le persone che consideravamo limitate o false si sono ulteriormente degradate e con disgusto le scopriamo ancora peggiori. La crisi mostra che effettivamente non sanno adattarsi e i loro limiti.
Ancor peggio è quando scopriamo che purtroppo azioni meschine, miserevoli, o al limite della pazzia, vengono compiute a nostro danno, ma il massimo dello schifo si prova quando esse vengono compiute da persone a noi vicine che mai avremmo supposto si degradassero a tal punto.
Purtroppo la pietà in quei casi non basta a smaltire, il perdono diventa difficile, perché viene messa a repentaglio non solo la nostra fiducia nell’essere umano, ma sopratutto viene messa in crisi la nostra stessa capacità di giudizio. Il fatto di non esserci accorti per tempo della “razza” di individui con cui avevamo a che fare ci fa improvvisamente vedere noi stessi in un modo brutto, ci risvegliamo e ci scopriamo come bambini inermi e indifesi di fronte al male del mondo, e pur essendo dalla parte del bene ci ritroviamo con l’autostima a terra. Gli anziani che vengono truffati conoscono molto bene queste senzazioni, e ne soffrono gravemente fino ad ammalarsi.
Quando si è giovani invene non è raro che le persone profondamente ferite diventino a loro volta malvagie, come se il danno subito le avesse educate ad essere altrettanto malvagie od anche peggio. na realidade , como eu explico abaixo, è la strada sbagliata.
Quando si viene privati della propria autostima, tutto vacilla, e si può non solo perdersi nel dolore, ma finire nel male perdersi nella cattiveria ed in un ulteriore continuo soffrire.
Sono momenti di svolta che chiamano l’individuo ad evolversi, e tanto più sarà la sua cultura umanistica tanto più grande sarà la sua capacità di reagire.
Però diciamo subito perché non conviene, anche egoisticamente, volgersi al male.
Per primo occorre osservare e poi tenere a mente che le persone sleali e scorrette sono in realtà la minoranza della società, anche se in effetti fanno notizia. Per contro nessuno racconta dei miliardi di persone che ogni giorno non rubano, vanno a lavorare, cercano di essere delle brave persone. Não, i media raccontano di quel 1% o anche meno che quel giorno ha rubato, stuprato, ucciso e compiuti altri atti riprovevoli per la comunità.
Eppure, se guardiamo la vita di coloro che hanno l’abitudine ad atti di falsità, di ruberia, di mistificazione, di calunnia, ci si accorge che nel lungo tempo e con il passare degli anni essi subiscono un progressivo peggioramento della propria esistenza, che finisce sempre in condizioni peggiori di quanto fosse al punto di partenza; oppure non di rado si assiste ad una escalation che li porta al carcere, o anche al suicidio più o meno evidente (alcolismo, abuso di farmaci o di sostanze chimiche, infelicità e depressione), comunque in genere arrivano all’autodistruzione. Forse è proprio questa autodistruzione visibile alla fine che costituisce la vera spiegazione fin dall’inizio di tutta la loro esistenza.
A volte dietro persone molto ricche, famose, amate e desiderate, ci sono in realtà esistenze molto molto tristi e solitarie, molto più infelici di un qualunque stipendiato minimo che magari vive una vita piena di amore e di piccole soddisfazioni che lo rendono felice.
Insomma facendo il bilancio della vita si vede che certi tipi di atteggiamenti e personalità portano alla disgrazia. Non lo considero un dato da prendere con un atto di fede, ma credo sia qualche cosa che ciascuno di noi può verificare da sé.
Ci sono però dei casi, purtroppo rari, che a metà percorso di autodistruzione si ravvedono, e sono persone realmente eccezionali che riescono a redimersi e dare un senso pieno alla vita, forse il massimo del senso che la vita può avere.
Fra i delinquenti grandi e i piccoli (nei quali comprendo anche i calunniatori, i plagiatori, i mistificatori, i ladri, gli stupratori, i pedofili, i corruttori e molte altre fattispecie) c’è chi pensa di essere intelligente più degli “stupidi” onesti, e decide di perseverare nelle condotte.
Eppure se si guardassero dal di fuori, se si vedessero nel tempo come li vede un onesto o un felice, scoprirebbero che la realtà dice esattamente il contrario, scoprirebbero che per gli altri e per il mondo essi sono solo degli stupidi e degli sciocchi che si stanno auto-distruggendo progressivamente.
Qualche delinquente ha la fortuna o la capacità di vedersi per quello che è, ed allora ha la straordinaria occasione di scegliere se migliorarsi ed arricchirsi o se perseverare e continuare a peggiorare con relativi costi da pagare.
C’è chi per esempio scopre che la realtà continuamente gli dice e conferma che è un cretino, ma si ostina a non accettare l’evidenza della realtà e quindi scegliere di potersi migliorare, ed invece continua ad insistere nel proprio comportamento cretino, finendo per assicurare a sé stesso un danno ancora più grande nel futuro. Ci sono insomma persone che solo per non voler umilmente accettare i propri limiti e i propri sbagli purtroppo preferiscono autodistruggersi alla lunga sprecando la vita.
L’umiltà è una difficile arte, perché non deve essere un “degrado” della persona, ma al contrario, una sua evoluzione, un miglioramento, che però avviene solo quando si ammette che si stava sbagliando, che quello che si era non era quella “poder” o quella “qualità” che si credeva di essere. em resumo, quando finalmente si accetta di essere stati dei cretini, perfino disonesti, anche illusi, troppo ignoranti e/o stupidi per aver quel successo o quel godimento che si bramava, si pongono le basi per la felicità, mentre quando non lo si fa si pongono le basi per ulteriori e più grandi disgrazie.
Il più grande ostacolo all’umiltà è la megalomania, perché è un atteggiamento che impedisce il processo di revisione e di autocritica, e purtroppo tristemente la megalomania è spesso figlia di una intelligenza diseducata o allevata con teorie errate, in qualche modo colpa di qualcun altro. Il megalomane infatti crede di essere superiore, ed invece quella sua supposta superiorità non è altro che la devianza inculcata nella persona da qualcun altro, alle volte delle persone della sua vita, altre volte delle teorie magari imparate sommariamente. E qui però le cose si complicano, perché se affrontiamo così la faccenda allora l’origine del male non va più ricercato nella persona stessa, ma altrove, anche in un passato lontano, e sa da una parte possiamo deresponsabilizzare la persona, purtroppo dall’altra possiamo sforare in casi del campo della psichiatria dove il processo di revisione è impossibile per tare di vario tipo.
A volte invece la cattiveria e l’egoismo derivano da violenze subite anche recenti, o da mancanza di amore.
Comunque sia, il conflitto fra la tensione del Bene che ci chiama (che è una tendenza all’armonia con il mondo e di ricerca della bellezza), e la perseveranza del male, quando c’è un qualche margine possibile di miglioramento dell’individuo si fa sentire ed emerge attraverso le malattie.
I personaggi che ridicolmente insistono in comportamenti autodistruttivi, cosa che è di per sé evidenza di cretineria, finiscono spesso per soffrire di problemi di salute, e questo per cause ben precise.
Infatti oltre alla mente razionale, e all’inconscio, esiste quello che viene chiamato “secondo cervello”, costituito da un esteso sistema nervoso che si sviluppa attorno allo stomaco ed in tutto il corpo, e che costituisce, sembra, o 70% del sistema immunitario.
Il secondo cervello reagisce al mondo esterno molto più del cervello nel cranio, perché non solo viene a contatto con quello che mangiamo, ma guida e contemporaneamente subisce quello che facciamo, e però è in contatto anche con quello che pensiamo e crediamo nel primo cervello. I due insomma si parlano.
Si è scoperto da pochi anni che il secondo cervello è probabilmente più importante del primo per la nostra felicità e per la nostra vita.
Il conflitto fra i desideri del primo cervello e fatti subiti dal secondo, spesso porta alla presenza di sintomi ben precisi di disturbo fisico, del corpo, che poi si aggravano se il comportamento errato (anche mentale!) continua a realizzarsi, disturbi che poi in pochi anni finiscono con il deflagrare in malattie spesso incurabili, scoppiano dentro e l’individuo sente di perderne il controllo, e tutto ciò può portare perfino alla morte.
Non c’è solo la teoria di Hamer a dire qualcosa di analogo, ma nutrite statistiche. Per Hamer la malattia prende avvio da un trauma psicologico, eventualmente anche da un torto subito, e quando si comprende il fatto e lo si porta allo stadio di coscienza la malattia si risolve. Questo per altro spiega agevolmente molti miracoli medici che non sono tali.
Ma la domanda che pongo è, cosa succede se il conflitto, o il il torto, a procurarcelo siamo noi stessi?
Quando ci rendiamo conto di aver sbagliato, ma non vogliono accettare le conseguenze di quello che abbiamo fatto, se ci ostinano nel comportamento sbagliato magari aggravandolo anche quando ci è del tutto evidente di aver sbagliato, si fa un grave torto sopratutto a noi stessi, e il corpo ci restituirà il favore nel tempo portandoci alla malattia.
em resumo, se chi ha capito di aver sbagliato non impara a dire “desculpa” e sinceramente a dispiacersi, è destinato ad ammalarsi, e più attenderà nel tempo più la malattia sarà grave e difficile da superare, tendenzialmente mortale. Questo perché la mente conscia è in conflitto con la naturale tendenza al benessere che è insita nel nostro secondo cervello. Se non fosse così ci sarebbero più persone malvagie sulla terra di quante siano le persone buone.
em resumo, quando ci si rende conto di sbagliare, e ci si pente (il che comprende anche l’ empatia verso il danneggiato e il dolore per il male compiuto), se non ci si redime, si finisce male.
Infatti il rifiuto del pentimento costringe l’individuo ad un meschino “strisciare” nella vita, ad una prospettiva pessimistica del mondo, finendo per privarsi da soli di aspetti della vita molto più belli, come l’amore. In pratica rifiutare il pentimento significa negarsi quel bello per sè a cui effettivamente in realtà aspiriamo, la cui prova sta nel fatto che abbiamo già provata l’empatia verso il danneggiato, o quel poco di rimorso sfuggente.
La cosa grave, portanto, è che si condanna all’infelicità colui che viene posto di fronte all’evidenza della propria malignità ma rifiuta la redenzione. Invece una volta che si accettano con umiltà i propri limiti e i propri errori, e si fa ammenda, e si ripara al danno anche rimettendo i debiti creati e risarcendo i danni alle persone danneggiate, quasi sempre dopo poco si aprono imprevisti scenari di benessere e felicità per la persona che si è redenta, perché le belle cose si avvicinano fra loro naturalmente, creando scenari inimmaginabili.
E’ il meccanismo speculare a quello noto per cui quando uno è depresso, non casualmente gli si avvicinano tutti gli avvoltoi della vita, gli sfruttatori, gli approfittatori e la feccia dell’umanità, che vogliono aproffittarne come possibile.
Quando invece ci si accinge a fare ammenda, si avvicinano a noi la serenità, saúde, con il tempo l’amore, ed è veramente triste che molti preferiscono rinunciare a tutto ciò solo per voler continuare ad affermare di essere quello che evidentemente non si è. Per altro gli “outros” sanno benissimo ugualmente come stanno le cose, anche quando non lo dicono.
Un bagno di umiltà ( costruttiva), la richiesta di perdono, la ricerca della riparazione degli errori sono nulla in confronto alle disgrazie che invece nel tempo attendono lo sciagurato che decide di non ravvedersi. E’ sopratutto la mancanza di umiltà di fronte all’evidenza dell’errore compiuto che ci priva delle cose belle della vita. Per non pagare il poco costo dell’accettazione dell’errore, si rinuncia a moltissimo altro. em resumo, anche egoisticamente parlando, conviene decisamente svestirsi di sé stessi e umilmente chiedere scusa per i torti fatti piuttosto che pagare il prezzo del non farlo.