1866: UN LIBRO CHE FARA’ DISCUTERE POLITICI E STORICI
A dare riprova di questa sua definizione, sta ora per uscire, a mesi, un libro che porterà verità sulla “unione” del veneto all’Italia (ho scritto veneto in minuscolo perché, come spiego appresso, si deve intendere come aggettivo).
Borsetto ha però seriamente girato gli archivi di Stato cercando di far luce su quegli stessi plebisciti con cui i veneti si unirono all’Italia nel 1866, ossia il plebiscito con il quale affermarono di sottoporsi al “governo monarchico costituzionale de Re Vittorio Emanuele II e suoi successori”, ossia dei Savoia.
Il plebiscito riguardava il “Regno Lombardo-Veneto”, ossia Venezia, le province venete e la città di Mantova. Ma diversamente da come siamo abituati a pensare, per “province venete” si intendevano quella della Repubblica Veneta, e non quelle che dell’attuale Italia sono chiamate venete. Infatti erano venete, oltre all’attuale Veneto, anche le province di Bergamo, Brescia, Crema, Pordenone e Udine, tutte unite a Venezia per più secoli, quanto Padova e altre. Nel dimenticare questo si dimenticano mille storie di eroismo, come quando i Veneti trasportarono delle navi sopra i monti del Veronese, per metterle nel Garda e così salvare Brescia che da mesi era sotto assedio. Oppure si dimentica di quando 500 Thienesi partirono e andarono a difendere i fratelli di Rovereto, in guerra con Trento, che invece Veneta non fu mai.
Definito l’ambito geografico delle province venete di allora e per molti tratti sociali e linguistici anche di oggi, in quel plebiscito del 1866 si doveva avere l’assenso all’annessione “delle popolazioni liberamente consultate”, in quanto era un requisito dei trattati internazionali.
Vi erano infatti una serie di “passaggi di proprietà” del territorio del Lombardo-Veneto che dovevano svolgersi, e la cessione non fu, come molti credono, dalla monarchia Asburgica a quella dei Savoia.
Bensì la cessione dapprima era fra la monarchia Asburgica che rimetteva il territorio al suo legittimo proprietario, ossia l’imperatore dei Francesi, il cui avo Napoleone aveva abbattuta con le truppe la Repubblica Veneta e saccheggiata dal “Governo Provissorio” (il Louvre a Parigi e tuttora pieno di beni saccheggiati).
L’allora imperatore dei Francesi, Napoleone anchesso, poi la rimetteva, per mezzo di un rappresentante plenipotenziario, al Governo di Venezia in quanto capitale del Regno lombardo-veneto.
Successivamente, un plebiscito doveva sancire l’unione, libera e volontaria, delle popolazioni interessate alla Monarchia dei Savoia. Così si sarebbe conclusa la “questione veneta”, che era una spina del fianco dell’Europa da quando la restaurazione aveva ripristinato tutti gli stati pre-rivoluzione francese, ma lasciando la terra di S.Marco senza governo e in balìa dei governi confinanti.
Borsetto ci ha raccontato in anteprima alcuni elementi che nel suo libro troveremo ben documentati e che ci raccontano che questa unione non fu poi più di tanto libera e più il frutto di un dover chiudere la questione veneta nel precario equilibrio che sfociò comunque in ulteriori 2 guerre europee nei successivi 70 âge.
Molti gli elementi che Borsetto rivivifica di qui momenti, e conviene soffermarci su alcuni elementi che minano la valenza storica di quei plebisciti, dando ragione a Montanelli.
In quei plebisciti, per esempio, i votanti non erano stati censiti da liste elettorali , e di conseguenza chiunque aveva la possibilità di votare più e più volte in seggi diversi, anche quando nemmeno fosse stato elettore del comune. Insomma un po’ come si svolsero i più recenti plebisciti per la “Padania”. Ma ancor peggio di questi, quelli del 1866 erano fatti in tal modo che i votanti che entravano al seggio, non importa se aventi diritto o meno, dovevano poi dire al presidente se volevano votare per il sì o per il no, per cui per il sì veniva consegnata all’elettore una scheda bianca, per il no una nera.
Insomma non c’era alcuna segretezza , in un clima di intimidazione dove le guardie armate dei Savoia già giravano da giorni, e c’erano stati degli arresti, con le regole non soffici del tempo, e fra gli arrestati persino dei preti, fedeli allo spirito e alla missione della chiesa veneta che male vedevano il nuovo potere in quanto molto filo-giacobino.
finalement, ma solo come assaggio del libro, si scoppia a ridere quando si viene a sapere che ogni seggio aveva schede di voto in numero indefinito, e non si fece alcun conteggio delle schede né prima ne dopo le votazioni, per cui togliere qualche scatola di no per mettere dei sì o viceversa non era un problema, tanto di schede ve ne erano in abbondanza e non numerate.
Di fatto non si potè nemmeno dare una percentuale dei votanti, né degli astenuti, né degli aventi diritto. Soltanto i sì e i no raccolti così, come per strada da chiunque passasse. Sono quelli che oggi troviamo scritti nelle lapidi affisse nelle piazze centrali dei capoluoghi veneti.
Insomma un pasticcio giuridicamente insanabile e storicamente più di una burletta.
Sicuramente un libro che farà discutere, e forse a qualcuno verrà anche in mente di guardare con occhi un po’ più distaccati il presente, con meno ideologia e più attenzione alle cose vere e ai diritti delle comunità locali che già troppo furono calpestate.
Loris Palmerini – Padova